Battaglie In Sintesi
3 settembre 1260
Durante il suo breve regno (1259-60), respinse dal Mediterraneo l'imminente minaccia mongola, con la vittoria a Ayn Jalut sull'esercito di Hulagu (sett. 1260). Sulla via del ritorno verso Il Cairo, Qutuz fu assassinato dal suo generale Baibars), che gli successe.
Quarto sultano della dinastia dei Mamelucchi Bariti d'Egitto, col nome ufficiale di al-Malik az-Zahir Rukn ad-din Abu'l-Fat al-Bunduqdari. Schiavo di nascita, acquistò fama militare e onori sotto l'ultimo sultano ayyubida e sotto i primi Mamelucchi, e, messosi a capo della congiura che rovesciò e uccise Saif ad-din Qutuz, fu acclamato califfo dai capi dell'esercito nel 658 ègira (1260). Di singolare ingegno, di grande coraggio, privo di scrupoli, Baibars incarna il tipo dell'avventuriero militare conquistatore di regni, e fu in effetto uno dei più insigni sovrani dell'Egitto musulmano. Con accorta politica di accordi e d'intrighi, con abili e fortunate imprese militari si liberò da una cerchia di nemici formidabili: le potenze cristiane mediterranee, il regno di Armenia, i Crociati, gli Assassini, i Mongoli, i Nubiani, i Berberi. Tolse ai Crociati la maggior parte dei loro possessi in Siria, sottomise gli Assassini, esercitò una sorta di supremazia sulle città sante Mecca e Medina. Compì l'opera di assicurare all'Egitto il posto di potenza egemonica dell'Islam con l'attirare alla sua corte un presunto discendente degli Abbasidi, facendolo proclamare successore dei califfi di Baghdad (distrutti dall'invasione mongola del 1258) e ottenendone per sé la solenne investitura del regno. Mori nel 676 ègira (1277), essendosi illustrato anche come saggio amministratore e costruttore di fastosi edifici. La sua fama visse anche attraverso leggende popolari, raccolte, insieme con altro svariato materiale novellistico, nel cosiddetto romanzo di Baibars. Un altro sultano mamelucco di nome Baibars regnò soltanto un anno (708-709 ègira, 1308-1309), e morì assassinato.
Cristiano nestoriano appartenente ai turchi Nayman, un gruppo al servizio dell'Impero mongolo, Kitbuqa fu uno dei luogotenenti e consigliere del Khan mongolo Hulagu e lo aiutò nel corso delle sue conquiste in Medio e Vicino Oriente. Quando Hulagu ritirò il grosso delle sue truppe per tornare in patria in vista del kuriltai che doveva eleggere il nuovo Gran Khan, a Kitbuqa fu affidato il controllo della non ancora del tutto conquistata Siria e fu quindi responsabile delle ulteriori azioni militari mongole verso Sud e l'Egitto mamelucco. Fu ucciso nel corso della battaglia di Ayn Jalut del 1260, che decretò la vittoria egiziana.
Nel 1219, i Mongoli di Gengis Khan avevano ormai esteso la loro influenza fino al mar Caspio. Fu qui che lo scià di Khwarizm offese il Gran Khan rifiutando di consegnare uno dei suoi governatori, accusato della morte di due mercanti mongoli. Ciò provocò l'invasione e la distruzione di Khwarizm e l'aggressione del Medio Oriente da parte dei Mongoli. Per infliggere la punizione, questi si servirono di quattro eserciti: Gengìs ne guidò uno, incendiando Buchara, Samarcanda e Balkh; suo figlio Juchi sconfisse le forze dello scià a Jand e, a quanto si dice, nella vittoria uccise 160.000 nemici; un altro figlio, Jagatai, conquistò e saccheggiò Otrar; un terzo figlio, Tuie, condusse 70.000 uomini attraverso il Khorasan, compiendo razzie ovunque. Tutti gli eserciti avanzarono invitti, prendendo e saccheggiando Merv, Nishapur, Ravy e Herat. Gengis tornò in Mongolia, ma i cavalieri della steppa rimasero. Dopo la sua morte, il successore Ògòdai inviò 300.000 uomini a domare una rivolta scatenata da Jalal ud-Din, che venne sconfitto a Diarbekr, nel nord della Persia. Sulla scia della vittoria, i Mongoli procedettero a saccheggiare l'Armenia, la Geòrgia e la Mesopotamia settentrionale. Nel 1234, Hulagu, nipote di Gengis, guidò un esercito in Iran, sconfiggendo gli Assassini ad Alamut, per poi dirigersi verso Baghdad. Nonostante Hulagu fosse buddista, la sua moglie favorita era cristiana, ed egli continuò la politica di tolleranza religiosa del nonno; perciò, l'attacco contro Baghdad fu sferrato per motivi di conquista, non di persecuzione religiosa.
Per impadronirsi di Baghdad, Hulagu si servì dell'aiuto di truppe dell'Orda d'Oro (la dinastia mongola che governava i territori dell'attuale Russia). Il califfo Al-Mustasim Billah rifiutò di giurare fedeltà a Hulagu, ma trascurò anche di ascoltare gli avvertimenti dei suoi generali, che lo consigliavano di rafforzare le mura e le difese della città. Per raccogliere sufficienti forze difensive, il califfo si affidava alla propria autorità religiosa, ma tale prestigio non esisteva più da tempo, ed egli fu costretto a scegliere tra i Mongoli e i Mamelucchi, soldati schiavi giunti al potere in Egitto e da lui sempre disprezzati. Troppo tardi rivolse l'attenzione alle difese della città: nel 1258, i Mongoli aprirono una breccia nelle mura e trascorsero otto giorni a saccheggiare Baghdad, che perse la maggior parte delle sue varie migliaia di abitanti, oltre alle biblioteche, le università, le moschee e i tesori. Non sarebbe più stata la capitale intellettuale dell'Islam. La distruzione di Baghdad aveva un significato religioso che Hulagu non capì mai. Da una parte, la moglie cristiana premeva perché egli si alleasse con i Crociati di stanza in Siria; dall'altra, il suo parente Birkai, capo dell'Orda d'Oro, si era convertito all'Islam e si rifiutava di aiutarlo ancora: in effetti, offrì il proprio appoggio ai Mamelucchi d'Egitto all'interno di una coalizione islamica. Con l'ausilio di forze crociate in Palestina, Hulagu conquistò Aleppo il 25 gennaio 1260 e Damasco il 2 marzo. «Dei Paesi islamici più importanti, soltanto l'Egitto e l'Arabia rimanevano inviolate, mentre sembrava che i Mongoli, saldamente in possesso di Damasco, avessero la strada aperta per continuare la loro irresistibile avanzata» (The Cambridge History of Islam, vol. I, p. 212). Hulagu stava progettando di marciare su Gerusalemme, quando gli giunse una notizia che cambiò la sorte del Medio Oriente: il Gran Khan Mangku era morto, ed era suo dovere tornare in Mongolia. Nonostante il parere contrario della moglie, dei generali e dei Crociati, egli partì per la madrepatria, lasciando un contingente agli ordini di Kitbuqa.
In Egitto, il nuovo sultano Qutuz e il suo brillante generale Baibars si stavano preparando alla battaglia da quando avevano giustiziato un emissario di Hulagu, che era giunto con il messaggio: «Questa è la parola di colui che governa la terra. Abbattete le vostre mura e sottomettetevi: se lo farete, vi sarà garantita la pace; in caso contrario, accadrà ciò che deve accadere, e non sappiamo di cosa si tratti. Soltanto il Cielo lo sa» (Lamb, The March of the Barbarians, p. 244). Essi approfittarono della ritirata di Hulagu per marciare verso la Siria. Non tutti i Crociati si erano alleati con i Mongoli, e Qutuz riuscì a ottenere libertà di passaggio e rifornimenti dalle truppe franche nella città portuale di Acri. Mentre erano qui, i Mamelucchi seppero dell'avanzata dei Mongoli di Kitbuqa in Galilea e marciarono verso sud-est per intercettarli.
Hulagu si era diretto in patria con il grosso dell'esercito, lasciando Kitbuqa al comando di una piccola retroguardia, che, secondo varie fonti, contava da una a tre tumen (la divisione standard di cavalleria dell'esercito mongolo), cioè da 10.000 a 30.000 uomini. Il generale mamelucco Baibars aveva messo insieme non soltanto i soldati mamelucchi d'Egitto, ma anche beduini appartenenti alla tribù semi-barbara Hawarah dell'Alto Egitto, nonché fuggiaschi turcomanni e arabi: in totale, l'esercito mamelucco che si mosse dall'Egitto contava almeno 120.000 uomini. In una battaglia tra forze equilibrate, i Mongoli sarebbero stati certamente in vantaggio, ma Qutuz sperava che la sua superiorità numerica avrebbe avuto la meglio sul ben noto valore dei cavalieri della steppa. I due eserciti conversero nella piana di Esdraelon, ad Ayn Jalut ("Stagni di Golia") il 3 settembre 1260. Di solito, le forze mongole erano composte per il 40 per cento di cavalleria pesante, dotata di corazze e armata soprattutto di lance, e per il resto di cavalleria leggera, che usava principalmente archi compositi, ma anche giavellotti. Fin dai tempi di Gengis Khan, la tattica che applicavano era quella dell'attacco, e Kitbuqa non aveva intenzione di cambiarla, dopo decenni di vittorie. Anche se i suoi uomini erano quattro volte inferiori di numero, egli lanciò in avanti la cavalleria leggera e ordinò a quella pesante di colpire il fianco sinistro degli avversari. L'eccezionale disciplina che aveva portato alla costituzione dell'impero dei Mongoli si dimostrò efficace, e questi ultimi cominciarono ben presto a ritirarsi in massa. Baibars, comunque, era pronto. Baibars era il tipico rappresentante dei soldati schiavi che avevano creato il regime mamelucco. Nato a Kipchack Turk, era stato catturato una prima volta dai Mongoli quando era giovane, poi fatto nuovamente prigioniero e venduto in Egitto a un emiro mamelucco. Perciò, conosceva due filosofie militari e, all'occorrenza, poteva servirsi di entrambe. Ad Ayn Jalut, egli applicò la tattica mongola di attirare l'attaccante con una finta ritirata. Secondo tutte le cronache, la ritirata mamelucca fu reale, non una finta, e causata dalla potenza dell'assalto mongolo, ma, a quanto pare, Baibars l'aveva prevista, piazzandosi con un numeroso contingente sulle colline che circondavano la valle in cui vennero sospinte le truppe egiziane. Da quelle alture, egli lanciò i suoi uomini sui fianchi e la retroguardia dei Mongoli, e l'intero peso dell'esercito nemico si dimostrò troppo grande perché questi ultimi potessero sostenerlo: tutti i Mongoli vennero uccisi o presi prigionieri, mentre le perdite sofferte dall'esercito egiziano, anche se non documentate, furono probabilmente contenute.
Kitbuqa fu preso prima di Qutuz. Egli reagì con calma al disprezzo riversato su di lui dai Mamelucchi, affermando che forze limitate come le sue erano niente per il Gran Khan mongolo e che sarebbe presto venuto il giorno in cui vendicare la sconfitta e radere al suolo l'Egitto: anche questa volta, egli basò le sue dichiarazioni su decenni di successi mongoli, ma gli avvenimenti avrebbero dimostrato che aveva ancora torto. Mentre si dirigeva verso la capitale mongola di Karakorum per eleggere il nuovo Gran Khan, Hulagu venne a sapere che la carica era stata affidata a Qubilai, nipote di Gengis; nello stesso tempo, gli giunse la notizia della sconfitta subita da Kitbuqa. Egli decise di vendicare la morte del suo generale, ma non riuscì a farlo: la rivalità con l'Orda d'Oro di cui abbiamo parlato lo costrinse ad affrontare prima questa situazione, dal momento che non poteva invadere di nuovo il Medio Oriente con un esercito ostile alle spalle. Baibars assassinò Qutuz perché non lo aveva sufficientemente premiato per la vittoria conseguita ad Ayn Jalut; egli era una figura popolare sia tra i soldati che tra la gente, perciò tale azione non ebbe conseguenze per lui. Baibars sapeva che la sconfitta di Kitbuqa, in realtà, non rappresentava altro che un trascurabile insuccesso per l'impero mongolo, e decise di prendere efficaci misure per prepararsi al quasi certo ritorno di Hulagu: marciò in Siria e ne espulse gli abitanti, adottando quindi la politica della terra bruciata allo scopo di togliere foraggio e rifornimenti a forze di cavalleria d'invasione. Riuscì anche a convincere i Crociati a rimanere neutrali, invece di commettere l'errore di allearsi con i Mongoli, come alcuni di loro avevano già fatto con Kitbuqa. Come poi si vide, queste iniziative si dimostrarono inutili. L'elezione di Qubilai alla carica di Gran Khan non avvenne senza contrasti. Il fratello minore Arik-Buka sfidò tale decisione. Hulagu offrì il proprio appoggio a Qubilai, e ciò contribuì a spingere Birkai, Khan dell'Orda d'Oro, a inviare emissari per proporre un'alleanza a Baibars. La risposta di quest'ultimo, rapida e forbita, lusingò Birkai e lo convinse che Hulagu intendeva distruggere la loro religione, l'Islam. Quando Hulagu, nel 1262, approntò l'esercito per vendicare Kitbuqa, fu costretto ad arrestare l'avanzata alla notizia che un'armata dell'Orda d'Oro proveniente dal Caucaso si stava dirigendo verso sud. Egli deviò per affrontarla, attaccando le forze di Birkai al fiume Terek; i due eserciti si combatterono fin quasi all'esaurimento, ma non vi furono vincitori. Hulagu si ritirò in Persia, coltivando la speranza di poter rinnovare l'alleanza con i Crociati, ma la sua morte, avvenuta nel 1264, impedì che ciò avvenisse. Nel 1281, suo figlio Abaga marciò verso l'Egitto, ma venne affrontato e sconfitto in Siria da Qalawun, successore di Baibars, nella battaglia di Homs. I Mongoli si ritirarono al di là dell'Eufrate, fondando la dinastia degli il-Khan. L'invasione mongola del Medio Oriente fu relativamente breve, con i combattimenti veri e propri che ebbero luogo nell'arco di circa quattro decenni. Essa dimostrò in via definitiva la supremazia musulmana nella regione, perché Mongoli e Crociati non collaborarono mai come avrebbero potuto. La sconfìtta di Kitbuqa agli stagni di Golia, pur essendo di per sé una battaglia di scarso rilievo, si rivelò la versione medio-orientale di quella subita dai musulmani a Tours, in Francia: come là l'Europa cristiana aveva ricacciato le armate dell'Islam, così i musulmani d'Egitto respinsero qui le forze che avrebbero potuto porre fine al loro predominio in Medio Oriente e, forse, costringerli a ritirarsi nei deserti dell'Arabia e del Sahara. I Mongoli applicarono la nota tattica della devastazione e del terrore, uccidendo centinaia di migliaia di persone e distruggendo buona parte dei testi letterali e scientifici islamici, anche se, durante la loro breve dinastia, gli il-Khan cercarono di rinnovare quell'atmosfera intellettuale. La conferma della dinastia mamelucca dopo ayn jalut rivitalizzò l'Islam. Agli osservatori dell'epoca non sfuggiva il fatto che gli stessi Mamelucchi erano originari della steppa, e il loro valore militare dimostrata incoraggiò i musulmani a continuare la diffusione della loro fede verso nord-est. I Mongoli che avevano fondato la dinastia persiana degli il-Khan si convertirono in seguito all'Islam, fornendo così a questa fede una significativa presenza alle frontiere con l'Asia.